Storia
Marino, mio nonno materno, ragazzo del 1899 e Cavaliere di Vittorio Veneto, migrò a causa della Seconda Guerra Mondiale da Cologno al Serio, un piccolo paese della bassa pianura bergamasca, “fino” alla città di Treviglio, dove si stabilì con la famiglia, incominciando una nuova vita. Francesco, mio nonno paterno, classe 1919, emigrato in Belgio a lavorare in una miniera di carbone per aiutare economicamente la sua famiglia rimasta in Italia, morì, si dice, con un liquido nero al posto del sangue. Ed infine, io, Bruno, papà di Michele e Chiara, che dopo essere partito per circa sei anni per un’esperienza di volontariato internazionale in Mali, nel 1997 sono stato contatto per organizzare il laboratorio occupazionale “T-Riciclo”.
Oggi, dopo dieci anni, mi rendo conto di come l’esperienza del laboratorio “Triciclo” sia stata per me l’opportunità non solo di conoscere uomini e donne emigrati, ma di ripercorre la mia storia migratoria e quella della mia famiglia. All’epoca non avrei mai pensato che quella proposta mi avrebbe fatto incrociare l’esperienza umana dei miei avi.
Ogni giorno uomini e donne stranieri ed italiani si recano alla sede del laboratorio occupazionale “Triciclo”, per svolgere un lavoro dignitoso che permetta loro non solo di rispondere ai loro bisogni, ma anche a quelli delle loro famiglie. Le attività che fondano il lavoro di queste persone, che per differenti motivi si trovano più di altri in situazione di bisogno, sono differenti: si passa dal ritiro a domicilio o in sede di mobili, oggetti, giochi, libri, casalinghi usati, allo sgombero di appartamenti, cantine e solai; dallo svuotamento dei cassonetti per la raccolta degli abiti usati, collocati su una parte del territorio della Diocesi di Bergamo, al ritiro presso scuole, comuni, aziende di cartucce esauste per stampanti e di telefonini usati; dalla gestione di un mercatino dell’usato all’organizzazione di campi di lavoro estivi e di laboratori[1].
In altre parole, il “Triciclo” ha cercato di creare, in questi anni, spazi lavorativi per immigrati non ancora inseriti nel circuito produttivo locale e spazi per l’inserimento propedeutico al lavoro di italiani in difficoltà che favorissero un percorso sia sociale che ecologico. Il laboratorio occupazionale, attraverso la sua attività di riciclaggio ed il lavoro di rete sul territorio in collaborazione con i partner del pubblico e del privato sociale, ha infatti maturato una particolare disponibilità e apertura nei confronti di persone in situazione di bisogno sia con background migratorio che non, promuovendo un’attività di inserimento propedeutico al lavoro per soggetti svantaggiati che, lavorando a fianco degli operatori, hanno modo di creare relazioni positive e utili per il loro recupero e reinserimento.
Storia
Il laboratorio occupazionale “Triciclo” nasce in collaborazione con il Patronato San Vincenzo, e come continuazione del lavoro iniziato fin dal 1950 da Don Bepo Vavassori, fondatore dello stesso.
“Il Patronato San Vincenzo col principio di quest’anno 1950 si è preso l’incarico di gestire l’opera dei rifiuti. Quest’opera raccoglie: carta, libri e registri usati, ossa, scatolame, vetri rotti, stracci, utensili fuori uso; materiale ingombrante, forse già posto sul solaio o negli scantinati; mobili, capi di vestiario, scarpe usate. Tali oggetti, quando occorre, vengono passati alla disinfezione, ma poi passano dai nostri laboratori da dove escono risanati come da una clinica. Non si raccolgono le spazzature perché non ci si può sostituire alla “Pastorino”; tutto il resto è buono. Questi rifiuti vengono selezionati e danno lavoro; vengono venduti e il ricavato va per una parte a beneficio di quest’opera e per l’altra a beneficio dell’opera missionaria.”[2]
Relazioni sociali e recupero beni
All’epoca, nessuno aveva colto la valenza ecologica di questa attività di recupero e di riciclo, ed in realtà nemmeno noi della Ruah lo avevamo immaginato all’inizio. Quando Don Bepo andava di casa in casa con i suoi ragazzi per recuperare cose vecchie, lo scopo primario era di togliere quei giovani dall’intraprendere una cattiva strada e di inserirli, attraverso il lavoro, nella realtà bergamasca dell’epoca. Ethos affine sotto moltissimi aspetti a quello che guida Ruah nei suoi progetti di inserimento lavorativo. Per parecchio tempo si è dunque pensato che l’operato di Don Bepo e il nostro avessero solo una rilevanza sociale ed educativa. Il lavoro quotidiano, la sensibilità degli operatori e una politica di salvaguardia dell’ambiente ci hanno portato, invece, a considerare seriamente anche l’impatto etico e morale di diffondere una cultura ecologica nel nostro territorio.
Il 22 aprile 2001 a Strasburgo i Presidenti delle Conferenze delle Chiese europee (KEK) e del Consiglio delle Conferenze Episcopali europee (CCEE), nel contesto dell’incontro Ecumenico europeo, hanno sottoscritto la Charta Oecumenica; ribadendo il loro desiderio di impegnarsi “insieme per realizzare condizioni sostenibili di vita per l’intero Creato” e “a sviluppare ulteriormente uno stile di vita nel quale, in contrapposizione al dominio della logica economica ed alla costrizione al consumo, accordiamo valore ad una qualità di vita responsabile e sostenibile”. Pertanto, oggi si sostiene il bisogno di pensare una nuova ecologia, sia in termini ecologico-ambientali che ecologici-umani, capace di proporre un modo diverso di essere ecologici nelle relazioni sociali e nel recupero dei beni.
Verso la fine della sua esistenza al fianco dei più deboli, l’Abbè Pierre, padre fondatore delle Comunità Emmaus, scriveva:
"Ecco della gente che era perduta e che, di colpo, non commette più crimini: vive del proprio lavoro; fa dell’ecologia concreta, raccogliendo e riciclando tutto ciò che è possibile; e inoltre, riesce a dare. Nel 1992, i 4000 confratelli di Emmaus di Francia, dopo essersi pagati il cibo, i contributi sanitari, le pensioni e il resto, sono riusciti a dare circa 30 milioni di franchi ad organizzazioni umanitarie. Un giorno l’ho detto al primo ministro Laurent Fabius; lui ha fatto un rapido calcolo e ha poi detto: 'Senza Emmaus, il novanta per cento dei 4000 confratelli sarebbero all’ospedale, all’ospizio o in prigione per recidiva per reati derivanti dalla miseria. Il tutto costerebbe allo stato una somma colossale'."[3]
L'Abbé Pierre nel 1999
Relazioni sociali e recupero beni
Per anni in Italia le parrocchie hanno raccolto carta, ferro, vetro, stracci, e vari materiali e oggetti di scarto; questo riciclaggio, però, non era visto come attenzione all’ambiente, ma come possibilità di finanziare opere caritative, di sostenere attività di promozione sociale nel nostro territorio oppure di favorire progetti in paesi emergenti del sud del mondo[4].
La complessità delle adempienze amministrativo-burocratiche legate ad un maggiore pressione legislativa in materia di rifiuti di questi ultimi anni, hanno gradatamente indotto le realtà parrocchiali del territorio ad abbandonare questo lavoro manuale che generava solidarietà, ma soprattutto educava al riciclaggio. Il laboratorio “Triciclo” ha in qualche modo ripreso e riformulato questa esperienza umana ed ecologica, adattandola al contesto attuale e tenendo in seria considerazione la dura legge del mercato e degli adempimenti amministrativi. Come noi, altre organizzazioni in Italia lavorano nel campo del recupero, riciclaggio, riutilizzo ambientale e sociale, non per altro le nostre tre parole chiave, che troviamo vicino al logo (RItiro – RIuso – RIciclo), sono adottate anche da loro[5].
La scelta di “usare” queste parole è stato per noi il primo passo di ri-ciclaggio di un pensiero che potremmo definire attivo, in quanto ricorda il movimento continuo di oggetti e persone che ogni giorno stazionano o passano nei nostri luoghi. Per molte persone, incontrate in questi anni, il “Triciclo” è stato non solo l’occasione per sperimentarsi in percorsi di re-inserimento sociale e per ri-mettersi in gioco, ma soprattutto una seconda possibilità di ritornare alla vita.
Inoltre, per molte di loro questo luogo rimane, anche a distanza di tempo, l’unica fonte di relazione con il mondo reale, con le altre persone che vivono la città. Passare per un saluto, per bere un caffè in compagnia e per fare due chiacchiere in un ambiente dove l’oggetto scartato riacquista valore è per queste persone un modo per continuare ad alimentare nel tempo il proprio valore. Per tale motivo siamo convinti nel sostenere che le persone acquistano continuamente valore e le stesse persone continuamente ci trasmettono il loro valore.
Bruno Goisis (ex-Presidente di Cooperativa Impresa Sociale Ruah - Dirigente Area Economia di Solidarietà)
[1] Per maggiori approfondimenti sulle attività sopraccitate vedi intervento “Laboratori di educazione all’ambiente e all’intercultura” di Bruno Goisis.
[2] Patronato San Vincenzo, Don Bepo 1888-1975, Edizioni SESAAB
[3] D. Scorza, “Intervista all'Abbé Pierre”, in Adesso, n°18, Giugno 2008.
[4] Ad esempio, nel 2000, la Comunità Ruah stessa, attraverso il laboratorio “Triciclo”, ha finanziato un progetto di cooperazione internazionale in appoggio ad un gruppo di donne senegalesi, di Dakar, che rivendevano nei mercati locali gli abiti raccolti, selezionati e igienizzati a Bergamo ed inviati con i container. Questo ha permesso alle donne di poter iniziare una piccola attività commerciale che, generando un reddito, consentiva loro di contribuire alle spese familiari. Con l’utile delle vendite, la cooperativa di donne ha proposto e ottenuto dalla Comunità Ruah il sostegno a due progetti educativi: l’apertura di un asilo in un quartiere povero di Dakar e di una scuola professionale per ragazze che, per diverse ragioni, avevano abbandonato gli studi. Quest’esperienza in Senegal è stata vincitrice nel 2008 del premio “Takunda”, concorso istituito dal Cesvi per i progetti di cooperazione internazionale; inoltre, il progetto ha spinto la Comunità Ruah a sostenere esperienze di questo tipo altre anche in altri paesi quali il Burkina Faso e l’Albania.
[5] Infatti, il primo contatto da noi avuto per imparare e trasferire nel nostro territorio bergamasco questa esperienza è stato con la Cooperativa “Triciclo” di Torino; da loro abbiamo sicuramente appreso che oltre al gesto materiale del recupero ecologico andava progettato un percorso più educativo e teorico da proporre al territorio. Abbiamo visitato alcune realtà di Verona e di Brescia dove ci si concentrava in particolare sul recupero della persona attraverso il recupero dei materiali. Molto belle ed interessanti le esperienze della cooperativa “Di mano in mano” di Bessimo (Mi) e dell’Associazione “Il Magazzino” di Treviglio (Bg); in entrambi i casi si tratta di strutture vicine alle nostre modalità di intervento. Coinvolgente l’esperienza vissuta nell’estate del 2006 quando in collaborazione con Emmaus Italia, la Comunità Ruah ha organizzato a Bergamo un campo di lavoro internazionale con la partecipazione di una trentina di giovani provenienti da tutta Europa. Da gennaio 2009 si sta costruendo una rete nazionale di organizzazioni che si occupano di ecologia, al fine di confrontare le differenti esperienze, le difficoltà, i punti di forza, le idee e i progetti in ambito di educazione ambientale.