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Laboratorio Triciclo

di Bruno Goisis

Educare è un’azione che interroga da tempo il nostro contesto laboratoriale.

Spesso quando torno a casa dalla mia famiglia, mi chiedo cosa significhi educare in un contesto interculturale, chi educhiamo, ma soprattutto chi educa chi.

Mi ricordo di un episodio avvenuto quando ero in Mali: avevo detto ad un ragazzo di essere un maleducato. Con vigore e rabbia il giovane uomo mi aveva subito ripreso, sostenendo che stavo offendendo i suoi genitori con quella frase, perché nella sua cultura la mia affermazione stava esprimendo l’incapacità della sua famiglia di educarlo. Grazie a questo episodio ho capito che in realtà non si può pensare di educare i giovani o gli adulti, ma si deve cercare di mettere in condizione le persone che interagiscono con noi, di vedere altre possibilità, altre vie da percorrere di fronte ad una difficoltà o ad una scelta. Noi siamo semplicemente promotori di possibilità e di alternative, spetta alla persona, solo a lei, la possibilità di cogliere la nostra proposta.

L’opera educativa in un contesto interculturale è in realtà estremamente difficile, perché i diversi valori personali si scontrano con individui o gruppi di appartenenze, tradizione, lingue, religione differenti. Fare educazione interculturale per noi del “triciclo” è vincere la scommessa quotidiana di poter fare entrare nelle case dei bergamaschi lo straniero, di abituare le persone ad accettare nelle proprie case colui dal colore della pelle diversa, anche solo se il suo essere presente serve per sbarazzarsi di oggetti vecchi o di rifiuti. La porta di casa che si apre è il primo gesto di accoglienza verso il diverso, perché questo gesto è spesso seguito da un bicchiere di acqua, da una mancia per il lavoro ben fatto e da qualche domanda per conoscere chi è e da dove viene. La paura dello straniero diminuisce con il passare dei minuti. L’idea che ogni giorno si possa offrire ai cittadini bergamaschi la possibilità di vedere colui che è portatore di una cultura diversa in maniera alternativa è per noi il nostro modo di aprire le persone ad un pensiero interculturale.

In tale procedere interculturale è nata poi l’esigenza di far intersecare nelle nostre pratiche anche l’aspetto ambientale, sempre più imminente, per sviluppare una cultura ecologica sia negli autoctoni che negli stranieri. La promozione dei laboratori di educazione ambientale non solo per i cittadini alunni delle differenti scuole primarie di primo grado e secondarie di primo e secondo grado, volontari, operatori, ecc..), ma anche per gli immigrati ne è un esempio. Lo stare accanto quotidianamente a queste persone ci ha permesso, infatti, di rilevare che le maggiori controversie dei nostri ospiti, residenti o domiciliati presso appartamenti di seconda accoglienza, avvengono con gli altri inquilini: la non conoscenza delle regole della raccolta differenziata portava a liti violente.

Diffondere tra gli immigrati un’educazione ambientale in una prospettiva ecologica significa “far memoria” del necessario e delle cose realmente utili, ricordare, in alcuni casi, le proprie origini contadine e riscoprire lo stretto legame con la “Madre Terra” ed entrare in relazione con persone che hanno una visione diversa di terra e natura. Gli uomini e le donne stranieri, a cui si propongono i nostri percorsi, ci mostrano il loro modo diverso di relazionarsi agli oggetti, alle cose, agli abiti, ma al tempo stesso non ci raccontano il loro modo di procedere nei rapporti con l’ambiente: con un dire misterioso ci fanno capire di non essere ancora pronti ad affrontare con noi il loro intimo mondo.

I laboratori diventano, quindi, strumento di confronto, conoscenza reciproca, scambio di esperienze, ma soprattutto momenti di forte coesione sociale.

Una coesione che con il procedere, ha permesso di trasformare un progetto dell’Associazione Comunità Ruah chiamato laboratorio occupazionale “triciclo” in una realtà. A tutti gli effetti un luogo di lavoro in cui, non si accolgono più gli immigrati in difficoltà, ma lavoratori italiani e stranieri che hanno scelto di operare in un contesto multiculturale e pluriprofessionale.
In altre parole, questo processo di coesione tra gli operatori del “triciclo” ha fatto nascere, strutturando altri progetti, nuove prospettive lavorative. Oggi esse rientrano a tutti gli effetti nelle attività della Cooperativa Impresa Sociale Ruah Onlus.

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