– “Nadia”
Quando muore un essere umano, spesso porta con sé un’intera storia. A volte, persino un intero sapere che, se non viene documentato, rischia di andar perso per sempre.
Quando siamo entrati in casa di Nadia, ad accoglierci abbiamo trovato i due figli. Antonio, sconsolato, immobile su una sedia di legno mezza rotta, e Mitia, che invece cercava di reagire al lutto ancora fresco riordinando casa, come se sua madre fosse ancora presente nella stanza, pervasiva e ingombrante. Uno che non stava fermo, l’altro che sembrava non potesse schiodarsi. La casa era piena di “cianfrusaglie”, come le definiva Antonio.
Ad ogni commento di questo genere, Mitia rispondeva dall’angolo della stanza, tenendo tra le mani il pupazzo preferito della sua mamma “sei tu che non apprezzi, in giro c’è sicuramente qualcosa”.
Antonio voleva liberarsi, di cosa, non si sa. A seconda di chi decidevamo di ascoltare, il primo voleva sbarazzarsi di tutto, come se quello spazio e le cose che lo popolavano, per lui non avessero alcun valore; Mitia era restio a cedere qualsiasi cimelio catturasse la nostra attenzione. Tutto, per lui, sembrava avvolto in qualche incantesimo. Mitia ci raccontava dell’infinità di cose che sapeva la mamma, che l’Università l’aveva fatta sui libri di Antonio, pagandola di tasca propria, vendendo tutto quello che riusciva a
preparare: torte, marmellate.
Nadia era un’appassionata. Di cosa, neanche loro l’han mai capito, eppure era finita sul giornale, e Mitia raccontava che in giovane età avrebbe persino potuto fare cose grandi. Più grandi di Antonio, che dopo la laurea ha aperto un’attività e ha smesso di parlare con Nadia. Più di Mitia, che lavora dal fratello da quando ha aperto, ma vive ancora lì, dove adesso Nadia non c’è più.
Ce ne siamo andati con questo set di argenteria tra le mani, e il ricordo del sorriso di Mitia, felice che, in qualche modo, i tesori della mamma potessero diventarlo per qualcun altro, ora che il suo e di suo fratello non c’è più e non è rimasto niente a metterli d’accordo.